Come Skam-pare alle insidie dell’adolescenza imparando ad appoggiarsi
di Claudia Fratangeli e Marco Bubola
Avete visto la serie Skam Italia su Netflix e Tim Vision? No?! Noi ve la consigliamo, domani uscirà la quarta stagione e abbiamo scritto un articolo su quello che ci ha colpito delle stagioni precedenti.
“Skam” in norvegese significa vergogna, un vissuto che spesso caratterizza l’adolescenza e di cui anche gli adulti fanno fatica a parlare. Questa serie, che racconta la vita di un gruppo di adolescenti che frequentano un liceo romano, a nostro parere ha invece il coraggio di addentrarsi con onestà e realismo nell’adolescenza e nelle sue complesse dinamiche.
Da psicologi che lavorano con famiglie e adolescenti non abbiamo potuto fare a meno di farci rapire da una scena in particolare.
Siamo nella seconda stagione, Martino, ragazzo sedicenne alle prese con un periodo difficile, un recente divorzio dei genitori e una brutta insonnia, decide di andare a chiedere aiuto allo psicologo della scuola.
Roberto, stravagante psicologo munito di sedano bio-vegan appena acquistato dal fruttivendolo, arriva nel suo “studio” nel seminterrato della scuola e Martino comincia a fantasticare l’idea che forse si sarebbe arrangiato, che quel buffo psicologo più di tanto non gli sarebbe servito ad affrontare la situazione.
Martino gli espone il suo problema: da un po’ di tempo dorme pochissimo.
“La privazione del sonno è una cosa molto grave” fa eco lo psicologo Roberto e dopo alcuni approfondimenti gli chiede come va a casa.
Martino non vuole parlare dei suoi genitori, anzi Martino non vuole parlare proprio, lui vuole solo qualcosa per dormire un po’.
Lo psicologo comprende: “non vuoi parlare con gli psicologi, con me non vuoi parlare…con qualcuno dovrai pur parlare…”
“Gli amici ce li hai?” chiede lo psicologo Roberto.
“Certo che ce li ho” replica Martino.
A quel punto lo psicologo ha capito e gli propone un “esperimento”.
Poggiati schiena a schiena anche con le gambe piegate si sta comodi, ci si può quasi addormentare. “Ma se io ad un certo punto decido di non appoggiarmi più a nessuno…accade questo….”
Roberto si scansa rapidamente e Martino cade a terra, senza appoggio non si mantiene l’equilibrio, senza appoggio non si sopportano situazioni difficili.
Roberto: “Hai capito?!”
Martino: “No”.
Roberto: “Io penso che hai capito!”
Martino esce confuso da quella stanza, ma la prima cosa che gli viene in mente di fare è invitare a casa il suo amico Giovanni per “pizza, mortazza e City-Real”.
I due amici si ritrovano a casa, passano il tempo a giocare con la play, ridono assieme, qualche silenzio, tanti non-detti. Alla fine Martino si apre, decide di parlare, “si appoggia”: non servono poi così tante parole, nessun annuncio né discorsi lunghi e articolati.
Giovanni infatti è suo amico “pe daVero” e che a Martino stesse accadendo qualcosa di importante lo aveva capito, o meglio lo aveva “sentito”, però rispettosamente aspettava che fosse lui a parlargliene.
Giovanni ha finalmente appreso cosa angosciava il suo amico e, con grande stupore di Martino, la cosa non lo turba. Il suo amico lo ha accolto, ha rispettato i suoi tempi, lo ha fatto sentire accettato.
Come si fa a stare vicini ad un amico?
Possiamo avvicinarci “umanamente”, comunicargli che ci siamo, fargli sentire che rispettiamo la sua difficoltà e i suoi silenzi: in poche parole fargli capire che “lo prendiamo sul serio”.
Un amico questo lo fa con il suo “esserci”, con la sua sincerità, restandoti vicino anche quando non riesce a capirti, ma facendoti sentire che non sei solo.
Questo ci piace chiamarlo l’”Appoggio Amicale”: l’amicizia infatti è una dimensione fondamentale della vita, soprattutto in adolescenza.
In particolare, vogliamo sottolineare la qualità della relazione amicale che viene proposta in questa vignetta: al contrario di come vengono spesso descritti gli adolescenti (svogliati, menefreghisti e spavaldi) troviamo due ragazzi alle prese con domande importanti, emozioni intense e comunicazioni difficili.
Ebbene sì, contrariamente all’idea che spesso hanno gli adulti, gli adolescenti sanno essere empatici, sanno prendere in considerazione il bisogno dell’altro e l’amicizia sa manifestarsi con piccoli gesti di un’umanità straordinaria.
L’appoggio amicale diventa quindi una barca per iniziare a navigare al largo della famiglia, per dirigersi verso l’età adulta, per ampliare il proprio repertorio di esperienze.
E lo psicologo in tutto ciò che ruolo ha?
Secondo noi questo episodio, con molto tatto e delicatezza, dipinge il ruolo che lo psicologo può avere per gli adolescenti con la sua funzione di ascolto. A Martino “è servito” andare dallo psicologo della scuola?
Lo psicologo ha fatto vedere a Martino attraverso un “gioco di equilibrio” quello che, in preda all’angoscia, non riusciva a vedere: le risorse presenti nella sua vita, i suoi amici “caciaroni” ma accoglienti, amici di cui potersi fidare e con cui potersi aprire.
Anzi, lo psicologo Roberto fa di più: mostra anche un possibile rischio nel continuare a non appoggiarsi a nessuno. Cadere e farsi male. Cadere e trovarsi disorientati e “persi”.
Cadere è comunque possibile, talvolta inevitabile e ci si può rialzare. Per farlo è tanto importante appoggiarsi a qualcuno, condividere la propria caduta e il proprio bisogno di rialzarsi.
Martino non aveva bisogno di una diagnosi dallo psicologo, né tanto meno era pronto per una “cura”.
Lo psicologo ha intuito che Martino non voleva “farsi curare”, ma allo stesso tempo gli ha trasmesso un messaggio importante: nella vita puoi scegliere su chi “appoggiarti”, ma non puoi stare in equilibrio da solo.
La richiesta di Martino chiedeva di essere ascoltata.
Uno psicologo questo lo fa con la sua professionalità e autenticità, con il suo aver lavorato su di sé, con i suoi studi e con l’aver incontrato persone che soffrono nei modi più diversi tra loro.
Per Martino era senz’altro il momento per ricevere un modo diverso di vedere le cose, per ricevere un input inedito e insolito che potesse “aprire la strada” ad un cambiamento possibile.
Per Martino era sicuramente il momento di sentirsi preso sul serio, ascoltato e anche lasciato andare.
E dove si è stati accolti e rispettati, ci si sente anche di poter tornare.